ESCLUSIVA - Júlio Sérgio: "Voglio vedere una partita in Curva Sud. De Rossi è un trascinatore. Dopo il derby mi disse..."

Intervista realizzata da Matteo Corona

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Ci sono alcuni calciatori che entrano nel cuore dei tifosi, divenendo dei veri e propri beniamini. La Roma, nella stagione 2009/2010, ha sfiorato lo Scudetto. Alla guida di mister Ranieri - subentrato a Luciano Spalletti dopo la seconda partita di campionato - i giallorossi hanno disputato un’annata magica, costellata da vittorie di spessore, soprattutto nei big match. Ecco, a proposito delle grandi gare, Júlio Sérgio Bertagnoli è salito in cattedra più volte in queste circostanze.

Dopo essere stato il terzo portiere per tre stagioni consecutive senza mai esordire in Serie A, il brasiliano ha potuto sfoderare tutto il suo gran carattere. Non solo, un altro motivo per il quale è rimasto particolarmente nel cuore dei tifosi romanisti è la sua gran forza d’animo: il portiere, nel 2010, contro il Brescia, ha stretto i denti e, nonostante il grave infortunio, è rimasto in campo per sette minuti dolorante, in quanto la Roma aveva finito le sostituzioni.

Nella diretta Instagram con Matteo Corona, Julio Sergio ha ripercorso le tappe della sua carriera.

Hai esordito in Serie A il 30 agosto 2009 contro la Juventus. Nonostante la sconfitta, la tua prestazione è stata di livello. Che ricordi hai di quel caldo pomeriggio?

“Erano tre anni che facevo parte della rosa, ma avevo fatto una sola amichevole a Leverkusen. Sono successe tante cose quel giorno. Spalletti è stato costretto in un certo senso a farmi giocare, perché era difficile trovare altre soluzioni. Ho giocato bene e da lì è iniziata la mia esperienza come portiere della squadr.

La determinazione, che ti ha sempre contraddistinto, ti ha aiutato a tirare il meglio quando sei stato chiamato in causa?

“Sono sempre stato un professionista, non sono mai stato un fenomeno. Dovevo allenarmi più degli altri per poter fare le cose allo stesso livello. Questi aspetti mi hanno permesso di togliermi delle soddisfazioni con la maglia della Roma e di guadagnarmi il rispetto della gente. Come professionista e come persona”.

Il 6 dicembre 2009 facesti una parata incredibile su Mauri nel derby con la Lazio. Dopo l’intervento, qual è la prima cosa che ti venne in mente?

“In quei momenti non c’è tempo per pensare. Poi, subito dopo, c’era un calcio d’angolo. Quando è finita la partita, dopo la doccia, sono tornato a casa e ho rivisto la partita. Anche perché non si riesce a dormire . Lì è stata una grandissima parata, qualcosa di diverso. Abbiamo vinto ed è stata la cosa più importante, anche perché era il mio primo derby”.

Prima di approdare alla Roma, ti immaginavi una pressione del genere nel derby della Capitale?

“Io ho giocato col Santos. Ho affrontato il San Paolo, il Corinthians e il Palmeiras. Si possono disputare anche otto derby in tre mesi, diventa una cosa normale. Arrivare in una città dove si vive in quel modo il derby è speciale. La settimana prima della partita, il momento della gara ed il post è un qualcosa di incredibile. Non so se in qualche altra città ci siano delle emozioni del genere”.

Nella partita contro l’Inter, sempre del 2010, vinceste 2-1. Vittoria fondamentale nella corsa Scudetto. In quel momento avete pensato che potevate farcela veramente?

“Sapevamo che era una partita fondamentale per giocarci lo Scudetto fino alla fine. Vincere contro una squadra come l’Inter, che alla fine ha conquistato il Triplete, era molto complicato. All’andata pareggiamo 1-1, Ranieri mi confermò nella partita seguente. Vincere all’Olimpico, davanti a tutti quei tifosi, è stato meraviglioso. Per l’adrenalina neanche mi ricordo cosa successe esattamente dopo, posso solo dire che nello spogliatoio fu una grandissima festa, indimenticabile”.

Ti aspettavi il miracolo calcistico di Ranieri col Leicester?

“Il mister ha sempre allenato grandi squadre. Ha iniziato la nuova era del Chelsea e ha girato diverse panchine importanti. Fino a quel momento ancora non aveva vinto un trofeo di livello considerevole. Abbiamo perso lo Scudetto che, purtroppo, era il suo sogno più grande visto che è romano e romanista. La Premier League con il Leicester dimostra la sua grandezza, sono vittorie che neanche tra cento anni si ripetono”.

Il derby di ritorno con la Lazio è stato significativo per vari motivi. La Roma, appunto, era in lotta per lo Scudetto, mentre la Lazio per non retrocedere. Ci racconti il rigore parato a Floccari?

“Noi avevamo studiato prima i rigoristi dal dischetto della Lazio con Pellizzaro, il preparatore dei portieri. Li vedevamo, poi, in video. Quando è venuto Floccari sapevo che tirava spesso al centro destra. Ho aspettato fino a che ho potuto, quando ha calciato ha preso il mio ginocchio ed è andata fuori. Poi Mirko (Vucinic, ndr) ha realizzato due grandi gol. In quel momento ho pensato che potevamo vincere realmente lo Scudetto”.

Abbiamo rivisto, questi giorni, su Sky, le immagini relative al giorno dell’addio di Francesco Totti. Ti sei emozionato quel giorno? Cosa ha significato per te giocare con una leggenda del genere?

“Sono arrivato dal Brasile ed anche se avevo già vinto due Scudetti, approdare in uno spogliatoio del genere dove c’erano grandi campioni come Montella, è stato incredibile. Francesco è stato una leggenda, ha vinto anche il Mondiale. Per me è stato un privilegio ed un onore conoscerlo, sapere che è un ragazzo umile che fa le cose per bene, è fantastico. E’ stato motivo d’orgoglio condividere alcuni anni con lui. Quello che ha fatto con una sola maglia, difficilmente si rivedrà. Mi sono emozionato il giorno del suo addio, per me meritava anche un qualcosa di più grande. Io penso che tra qualche anno faranno un’altra partita per omaggiarlo nuovamente”.

Passiamo ad un’altra istituzione, ovvero Daniele De Rossi. Simbolo della passionalità. Quanta carica vi trasmetteva in campo e nello spogliatoio?

“Lui aveva una personalità fortissima, si faceva sentire. Voleva il bene della Roma, ha fatto una grandissima carriera. Mi ha fatto molto piacere quando, dopo il derby, è venuto da me e mi ha fatto i complimenti, dicendomi di godermi quegli attimi, Era giovane, ma già Campione del Mondo. Quei gesti mi facevano solo crescere”.

Un’altra partita rimasta nel cuore dei romanisti è quella col Brescia al Rigamonti. In quella circostanza sei stato costretto a rimanere in campo per sette minuti con una brutta lesione. Cosa accade di preciso?

“Era la partita dopo Monaco, dove ho esordito in Champions. Ho fatto un’uscita che non dovevo fare perché mi trovavo troppo lontano. Mi sono rotto il piede in uno scontro con un giocatore, ora non ricordo chi. Mi hanno fatto un bendaggio, ho stretto i denti e sono rimasto in campo. Se avessero tirato, avrebbero segnato perché non avevo la forza per effettuare una parata. Mexes era già stato espulso e le sostituzioni erano finite, non si poteva uscire. Dopo il match, siamo ripartiti per Roma. Ho dormito a Trigoria e alle 4 di mattina ho chiamato il medico perché avevo troppo dolore. Mi hanno portato all’ospedale ed è stata evidenziata la frattura. Sono stato fuori 60 giorni”.

Hai la doppia cittadinanza. Ti piacerebbe tornare a lavorare in Italia?

“E’ il mio progetto. Oggi faccio l’allenatore e voglio assolutamente tornare in Italia, magari alla Roma. Il progetto è quello di fare l’allenatore nel calcio europeo”.

Cosa ne pensi di Alisson che ha fatto cose incredibili prima con la Roma e poi con il Liverpool?

“Ho avuto l’opportunità di parlare con lui qualche volta, ma non di argomenti calcistici. E’ un ragazzo molto intelligente. Ha giocato tre anni al top e al massimo del livello, e quindi è  fisiologico avere qualche problema fisico. E’ tra i primi tre portieri al mondo sicuramente. Difficile vedere un portiere che sbaglia poco come lui. E’ stato impressionante in Champions League. Pallone d’Oro? Io penso che sarà molto complicato che un portiere lo vinca. Nel calcio vogliono i gol. Cannavaro ha vinto, ma pochi difensori ci sono riusciti. Vogliono lo spettacolo. Gli altri premi che hanno realizzato non sono paragonabili al Pallone d’Oro”.

Cosa ne pensi di Pau Lopez, l’attuale portiere titolare dei giallorossi?

“Arrivare e giocare subito nel calcio italiano è molto difficile. Le tattiche sono differenti, l’ambientamento è essenziale. Lui ha qualità, se ha la testa giusta lo dovrà continuare a dimostrare. L’errore nel derby ci può stare, anche perché ha fatto anche parate importanti. Il prossimo anno sarà fondamentale, a mio avviso, per dimostrare a pieno le sue potenzialità”.

Il numero 27 lo hai scelto per…

“C’è un motivo solo: 1927 la nascita della Roma. Parlavo con il mio procuratore, ovvero Alessandro Lucci e mi ha detto che quello era il numero giusto, portava bene. Con il mio agente, che mi ha aiutato tantissimo e mi ha fatto crescere tanto come persona, abbiamo deciso bene. Ora C’è Pastore con quel numero, poi anche Gervinho l’ha preso”.

Prima abbiamo accennato ad un tuo ritorno in Italia, quanto ti manca? Magari un giorno ti vedremo sulla panchina dei capitolini…

“Mi mancano tante cose dell’Italia, il modo il vivere, il cibo, il calcio. Amatriciana o carbonara? La prima. Mangiavo in un locale vicino casa buonissimo. Crostata e caffè una vera bontà Voglio vedere una partita in Curva Sud, l’ho vista da vicino al campo ed in tribuna Monte Mario. Il futuro sulla panchina della Roma? Mi farebbe molto piacere, devo prima crescere e fare la gavetta. Mi mancano tante cose dell’Italia, il modo il vivere, il cibo, il calcio. Voglio portare i miei figli a passeggio per Roma, ora sono più grandi e possono capire meglio la grandezza di Roma”.

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Si ringrazia Júlio Sérgio per la cortese disponibilità.